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Dalla favola alla storia: la prima italiana dell’Amore di Danae (Strauss)

par Marie Gaboriaud 13 avril 2025
par Marie Gaboriaud 13 avril 2025

© Opera Carlo Felice

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Genova, Der Liebe der Danae, 9 aprile 2025

La prima italiana di Die Liebe der Danae di Strauss a Genova avrebbe dovuto aver luogo domenica 6 aprile, ma a causa di uno sciopero dovuto al rinnovato conflitto tra i dipendenti della Fondazione Teatro Carlo Felice, la direzione e il Comune, si è svolta mercoledì 9 aprile.

L’ultima opera di Strauss è uno strano oggetto, una commedia mitologica in puro stile del XIX secolo, che immagina un improbabile triangolo amoroso tra Danae, Zeus e Mida, ma completata sotto le bombe della Seconda Guerra Mondiale.

Laurence Dale prende di petto questa incongruenza per farne il punto focale della sua lettura dell’opera: in una mise en abyme del teatro, i personaggi sembrano recitare, come in un sogno, la finzione della fine di un mondo. La messa in scena è intrisa di una certa nostalgia: una struttura scenica fatiscente, un pianoforte rovesciato e alcune rovine costituiscono la scenografia che incornicia il palco e collega i tre atti, che a loro volta ricreano scenografie psichedeliche – per il primo atto – o mitologizzanti – per il secondo e il terzo atto – che sfiorano lo sfarzo o il rococò. Suggeriscono la fine di una civiltà che continua ciecamente a riproporre il suo passato dorato, o il ricordo malinconico di un mondo finito. Pensiamo ovviamente al modo in cui un ottuagenario Strauss, e altri artisti cosmopoliti della sua generazione come l’amico Stefan Zweig, guardavano alla distruzione di una certa idea di cultura e di Europa, ma anche alle pratiche teatrali che si perpetuavano nei campi di concentramento, a volte per motivi di propaganda, come a Theresienstadt – il muro di mattoni nudi del lato della cornice del palcoscenico evocava una costruzione civile o militare, e non solo teatrale.

Anche la messa in scena di Laurence Dale sottolinea questa dimensione autobiografica e testamentaria: al di là del parallelo tra il mito e la dissoluzione della cultura germanica negli orrori del Terzo Reich e della guerra, tematizza anche l’addio di Strauss, facendolo diventare un personaggio dell’opera, prima spettatore, in compagnia della moglie, del primo atto, poi scendendo sul palcoscenico, dentro e fuori il dramma, un creatore che si evolve nella sua creazione. D’altra parte, la proiezione di video del “vero” Strauss sul fondo del palco è un po’ più forzata e meno efficace, diventando ridondante per la sua lunghezza. L’uso del video per animare il fondo del palcoscenico non è sempre riuscito: nel primo atto, lo stacco improvviso tra l’oro iperbolico del sogno di Danae e l’atmosfera crepuscolare e nebbiosa che lo segue immediatamente è molto efficace, ma altre illustrazioni del fondale soffrono di una forma di kitsch, che ci si chiede se non sia voluta, visto che riecheggia il rococò di alcune scenografie (il letto di Giove, per esempio) che evocano il mondo dell’operetta. Gli interventi dei quattro ballerini che simboleggiano l’Oro sono talvolta dispersivi e non aggiungono molto.

Dal punto di vista della partitura e della sua interpretazione, questo diluvio di musica è una gioia; l’Orchestra del Carlo Felice è guidata dalla compostezza e dalla maestria di Michael Zlabinger, che compie anche la prodigiosa impresa di sostituire Fabio Luisi, impossibilitato a esibirsi, con breve preavviso. Ampiamente aumentata rispetto al suo volume abituale, soprattutto i fiati, gli ottoni e le percussioni, l’orchestra si diletta nell’opportunità di muovere tali masse sonore (che effetti nei bassi!), non sempre controllando questo entusiasmo e talvolta coprendo i cantanti – ma non importa! Concentrazione e precisione non mancano. Sublime il “Midas – Geliebter – Bleibe mir hold” alla fine del II atto, un trio sospeso tra Danaé, un tappeto di fiati e l’assolo del primo violino, Giovanni Battista Fabris. In generale, gli Atti II e III sono un grande successo musicale. Inoltre, e questo è un dettaglio importante, per l’espatriata in Italia cresciuta in una cultura musicale diversa, poter godere per tre ore di musica vocale, senza i sistematici applausi dopo ogni aria, è un lusso inaudito da assaporare. Quando sarà la prossima volta?

Possiamo quindi godere appieno della maestria di Angela Meade, grandiosa ed eterea in questo ruolo: al di là delle sue qualità vocali, interpreta una Danae inquietante, per la quale l’oro è anche una maledizione, una seduzione mortale.  La sua confessione d’amore per Mida all’inconsolabile Giove, “Ew’ge Pfanne trennen sich”, è un grande momento. 

Meade forma un’eccellente coppia con il tenore John Matthews Myers, che combina la potenza necessaria per elevarsi al di sopra della massa orchestrale con le qualità espressive. Scott Hendricks ritrae un Giove divertente e commovente allo stesso tempo, e la sua interpretazione vocale è impeccabile, anche se talvolta il volume risulta leggermente limitato per questo ruolo.

Le quattro regine, Anna Graf, Agnieszka Adamczak, Hagar Sharvit e Valentina Stadler, si esibiscono in un tour de force, gestendo con grande precisione il complesso intreccio delle quattro linee melodiche e dando al contempo vita a personaggi buffi e caratterizzati. Tuomas Katajala nel ruolo di Polluce e Timothy Oliver in quello di Mercurio contribuiscono all’efficacia comica dell’ensemble con la loro eccellente recitazione e l’impeccabile interpretazione musicale.

Al Carlo Felice va il merito di non accontentarsi dell’effetto “scoop” di questa prima Danae italiana, ma di offrire una lettura davvero interessante dell’opera. La messa in scena di Dale, imitando il gesto musicale di Strauss, unisce citazioni visive (incontriamo la Zattera della Medusa, il valzer viennese, folle di migranti) e suggestioni in piccoli tocchi, mantenendo un linguaggio chiaro. È una sfida rendere leggibile questo libretto piuttosto tortuoso. Nonostante le sfumature wagneriane, il finale di quest’opera è luminoso, e l’oro del Reno non si dissolve in un crepuscolo, ma lascia il posto a una felicità trovata nella semplicità e nella gentilezza. Le parole di Giove nel finale suonano come un testamento di Strauss, che forse vale la pena tenere a mente in questi tempi inquietanti: “Menschenliebe: Göttergeschenk! / Menschenliebe: Gefahr dem Gotte”, cioè “L’amore umano è un dono divino/ L’amore umano è un pericolo per il dio”.

Pour lire cet article dans sa version française, cliquez sur le drapeau !

E per leggere la recensione (altrettanto entusiasmante!) di Renato Verga, cliccate qui!

Personaggi e interpreti

Danae: Angela Meade
Midas: John Matthew Myers
Jupiter: Scott Hendricks
Merkur: Timothy Oliver
Pollux: Tuomas Katajala
Xanthe: Valentina Farcas
Erste König: Albert Memeti
Zweite König: Eamonn Mulhall
Dritte König: Nicolas Legoux
Vierte König: John Paul Huckle
Semele: Anna Graf
Europa: Agnieszka Adamczak
Alkmene: Hagar Sharvit
Leda: Valentina Stadler
Vier Wächter: Domenico Apollonio, Bernardo Pellegrini, Luca Romano, Andrea Scannerini
Eine Stimme: Valeria Saladino

Maestro concertatore e direttore: Michael Zlabinger
Regia: Laurence Dale
Scene e costumi: Gary McCann
Luci: John Bishop
Orchestra, Coro e Tecnici dell’Opera Carlo Felice Genova
Maestro del Coro: Claudio Marino Moretti
Balletto Fondazione Formazione Danza e Spettacolo “For Dance” ETS

Il programma

Der Lieber der Danae

Mitologia gaia in tre atti di Richard Strauss, libretto di Joseph Gregor. Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova. Prima rappresentazione italiana della versione originale con complessi artistici italiani.
Teatro Carlo Felice di Genova, 9 aprile 2025.

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Laurence DaleTuomas KatajalaAngela MeadeJohn Matthew MyersMichael ZlabingerAnna GrafAgnieszka AdamczakHagar SharvitValentina StadlerTimothy Oliver
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Marie Gaboriaud

Marie Gaboriaud est enseignante-chercheuse en littérature française à l'Université de Gênes. Elle est spécialiste des liens entre musique et littérature, et des phénomènes de canonisation des figures de musiciens. Elle a notamment publié "Une vie de gloire et de souffrance. Le Mythe de Beethoven sous la Troisième République" (2017), qui a été finaliste du Prix France Musique des Muses en 2018.

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