Henry James, Il giro di vite; Benjamin Britten, The Turn of the Screw. Genova, 13 ottobre 2024.
Per il secondo anno consecutivo, la stagione si apre a Genova nel segno di Britten. A dimostrazione della loro volontà di collaborazione, l’Opera Carlo Felice e il Teatro Nazionale di Genova hanno deciso di aprire la stagione con un doppio spettacolo, nel rinnovato auditorium Ivo Chiesa del Teatro Nazionale: prima la pièce teatrale in prosa, adattata in italiano dal racconto di Henry James da Carlo Sciaccaluga, e poi l’opera di Britten. Un’ambizione nobile sulla carta, che cerca di far incontrare due categorie di pubblico e due forme d’arte che hanno molto in comune, come giustamente ricorda il regista David Livermoore nel libretto di sala.
Ma il formato scelto alla fine lascia perplessi, tanto è impegnativo per lo spettatore. Quattro ore di spettacolo, due performance che condividono la stessa lettura, lo stesso universo visivo e la stessa scenografia, ma che sono ugualmente dense e impegnative, lasciando il pubblico in ginocchio. Paradossalmente, il desiderio – assolutamente nobile e pertinente – di un “incontro” tra il mondo del teatro e quello dell’opera si traduce in uno spettacolo ugualmente faticoso per entrambi, ed è difficile immaginare come possa avvicinarli, né tanto meno attirare nuovo pubblico. Questo strano formato suggerisce anche che i tentativi di unirsi per creare un unico spettacolo, che avrebbe attinto ai diversi talenti teatrali e musicali della regione, sono forse falliti. Non sarà che l’attuale ossessione per l’ “evento”, per la sua comunicazione a scapito del buon senso (e in altri settori, a scapito della qualità), sia all’opera in questo caso?
L’allestimento di Livermoore, basato su una scenografia in perenne movimento che sposta le linee visive tanto quanto la storia allontana le certezze, ha una reale efficacia visiva.
Nella pièce in prosa, in particolare, l’uso delle ombre è notevole, ma a volte sembra esaurirsi, faticando ad adattarsi al testo di Sciaccaluga, spesso tortuoso e appesantito da citazioni. La scelta di un accompagnamento musicale continuo, che prevede l’amplificazione delle voci degli attori, rende difficile l’ascolto e a volte risulta irritante, come nel lungo monologo dell’istitutrice impostato su un interminabile pezzo di chitarra elettrica. La scelta deliberata di Livermoore di questa combinazione di musica ad alto volume e voci amplificate, spesso utilizzata nelle sue opere teatrali, è uno spiacevole contrasto con l’arte operistica di Britten, dove la musica e la voce si completano e si arricchiscono a vicenda senza essere distorte dall’amplificazione e senza stancare il pubblico.
Arrivato infatti il momento dell’opera, dopo una breve pausa necessaria. L’esecuzione è stata musicalmente e drammaturgicamente impeccabile, e sarebbe stata più che sufficiente da sola. Purtroppo, il formato stesso dell’opera di Britten, “spezzettata” in 16 tableaux che stringono l’azione in un crescendo di tensione, si rivela alla lunga stancante per uno spettatore già pre-affaticato da due ore di un’altra opera densa e opprimente, durante le quali abbiamo già viaggiato nell’incubo di Miles e Flora.
La musica vivace di Britten, con i suoi vari registri, inventa continuamente combinazioni originali di strumenti e non si interrompe mai, trasportandoci in un flusso continuo verso un orrore sempre maggiore. Questa musica è servita magistralmente dal direttore Riccardo Minasi, il cui lavoro di precisione è notevole, e da dodici solisti dell’Orchestra dell’Opera Carlo Felice. Un lavoro solistico impressionante da parte di musicisti che ancora una volta dimostrano la qualità musicale di questa orchestra, non solo collettivamente ma anche individualmente. Un applauso particolare va alla pianista, che si alterna tra celesta e pianoforte in un’ampia varietà di ruoli, così come al percussionista e a tutti i fiati, soprattutto per il loro lavoro sulle note basse, essenziali negli effetti drammatici.
Sul palco, la sfida è stata raccolta dal cast di cantanti. Il duetto tra l’institutrice, interpretata dal soprano Karen Gardeazabal, e Mrs. Gose, il mezzo Polly Leech, entrambe di grande qualità vocale, funziona perfettamente: senza lasciarsi paralizzare dalla precisione geometrica dell’opera di Britten, e senza forzare l’emozione, riescono a creare un’atmosfera struggente. Sul versante spettrale, Valentino Buzza e Marianna Mappa interpretano Quint e Miss Jessel, entrambi inquietanti all’estremo, e anche la loro interpretazione musicale è irreprensibile, soprattutto nel difficile ruolo di Quint. Il duetto dei bambini, Lucy e Oliver Barlow, è particolarmente lodevole per la loro precoce professionalità.
Come spesso accade, ci si interroga sulla necessità di appendere le donne – attrici e cantanti – a testa in giù per un’intera scena, o di farle strisciare sul pavimento in abiti succinti e tacchi a spillo. Domande ricorrenti al teatro, le cui risposte rimangono senza risposta – o meglio, tristemente ovvie.
Il giro di vite
Istitutrice : Linda Gennari
Mrs. Grose : Gaia Aprea
Peter Quint : Aleph Viola
Miss Jessel : Virginia Campolucci
Miles : Luigi Bignone
Flora : Ludovica Iannetti
Mise en scène : Davide Livermore
Décors : Manuel Zuriaga
Costumes : Mariana Fracasso
Musique : Giua
Conception sonore : Edoardo Ambrosio
Lumières : Antonio Castro
The Turn of the Screw
Quint : Valentino Buzza
The Governess : Karen Gardeazabal
Miles : Oliver Barlow
Flora : Lucy Barlow
Mrs. Grose : Polly Leech
Miss Jessel : Marianna Mappa
Orchestre de l’Opéra Carlo Felice de Gênes, dir. Riccardo Minasi
Mise en scène : Davide Livermore
Décors : Manuel Zuriaga
Costumes : Mariana Fracasso
Lumières : Antonio Castro, Nadia García
Il giro di vite
D’après Henry James, traduction et adaptation de Carlo Sciaccaluga
The Turn of the Screw (Le Tour d’écrou)
Opéra en un prologue, deux actes et seize scènes de Benjamin Britten, livret de Myfanwy Piper d’après Henry James, créé au Teatro La Fenice de Venise le 14 septembre 1954.
Teatro Carlo Felice de Gênes, représentation du dimanche 13 octobre 2024.