Intervista – CHORÉGIES D’ORANGE : L’OMAGGIO DI RICCARDO CHAILLY A VERDI

Da Johannes-Sebastian Bach alla creazione contemporanea, la sua passione per la musica non conosce limiti ! In occasione della venuta di RICCARDO CHAILLY alle Chorégies d’Orange con le forze della Filarmonica della Scala per una serata verdiana molto attesa, Première Loge ha incontrato il direttore musicale del Teatro alla Scala di Milano. Il suo amore per il primo Verdi, il suo legame con la musica contemporanea, l’insegnamento ricevuto da Claudio Abbado, le qualità che secondo lui devono essere quelle di un grande direttore d’orchestra : scoprite nel corso questa conversazione densa ed appassionante tutto cio’ che rende Riccardo Chailly uno dei direttori più affascinanti del nostro tempo…

document.addEventListener('DOMContentLoaded', function() {(tarteaucitron.job = tarteaucitron.job || []).push('youtube');});

« Viva Verdi ! » (DVD trailer)

Raffaele D’EREDITA : Buongiorno Maestro Chailly, lei si produrrà quest’estate al teatro antico di Orange con l’orchestra del Teatro la Scala e con un programma verdiano, che comporta Ouvertures e cori tratti dalle opere del genio di Busseto. Che cosa l’ha spinta ad accettare questo progetto ?

Riccardo CHAILLY : In questi giorni stiamo eseguendo lo stesso concerto a Milano per la stagione sinfonica di abbonamento ed è ogni volta un’emozione collettiva di due ore, per il piacere ma anche per l’impegno che questa musica e questo programma richiedono. È un programma molto corposo, dicevo, per novanta minuti di musica. Inoltre tra coristi e Professori d’Orchestra siamo circa duecento musicisti e musiciste insieme alla banda che è anche abbastanza numerosa. È un programma che è e contnua ad essere un punto di riferimento per quella che è la storia di quel teatro. La storia del Teatro alla Scala converge intorno alla figura di Verdi, da quando è apparso per la prima volta con Oberto conte di San Bonifacio. Quindi Verdi rappresenta veramante la spina dorsale della tradizione del Teatro alla Scala.

Non è un caso che negli anni ’70 Claudio Abbado abbia portato questo progetto e l’abbia inciso per Deutsche Grammophon ; negli anni ’90 Riccardo Muti abbia anche inciso per EMI e adesso noi portiamo questo progetto che sarà inciso poi dalla DECCA. E per noi dunque una testimonianza di come aggiornare il gusto interpretativo, con un’attenzione particolare sulla maniera di profilare il suono del coro e dell orchestra, fissandoci sull’analisi dello stile e del colore tipico di quella famosa « tinta » verdiana, cha in questo caso alla Scala è un argomento stilistico quotidiano che si studia ad ogni esecuzione della musica di Verdi.

R. D’E. : Non è la prima volta che dirige un concerto all’aperto, penso in particolare ai cooncerti tenuti in piazza duomo a Milano. Che parte hanno nella sua carriera i concerti all’aperto ?
R. C. :
No non ho mai nutrito nessun preconcetto rispetto ai concerti all’aperto. Con la Filarmonica ne facciamo molto ferquentemente, come appunto per i concerti di Piazza Duomo a Milano che facciamo ormai da dieci anni. Già dieci anni prima, col Gewandhaus li avevamo fatti in piazza a Lipsia, prima ancora quando ero col Concertgebouw di Amsterdam una volta l’anno organizzavamo un concerto all’aperto. Questo tipo di eventi sono molto importanti per dare un segnale di apertura alla città. Poi noi oggi abbiamo anche il vantaggio grosso di disporre di una tecnologia evoluta, cha ci ha seguito da dieci anni con la RAI, che manda in diretta su Rai5 questi concerti. Ma è una tecnologia che si è perfezionata strada facendo, e questo è certamente un grande aiuto in più. Inoltre personalmente ho un grande piacere a debuttare al Théâtre antique d’Orange, in questa sede storica cosi importante.

R. D’E. : Pensa che questo tipo di concerti modifichi il suo modo di dirigere rispetto ai concerti tenuti in sala ?
R. C. : Io dico sempre che bisogna cercare di non alterare nulla. Non solo l’interpretazione, non solo la scelta dei tempi, ma anche le dinamiche. Le dinamiche sono state tutte concertate al chiuso. Poi è chiaro che faremo una prova generale a Orange un giorno prima, è logico che rivedremo tutto il programma una volta, pero’ possibilmente rispettando la fedeltà del lavoro fatto precedentemente. E poi dal vivo questo rende perche sono dei luoghi all’aperto ma con una qualità acustica magnifica. Si potra quindi assaporare con una certa attenzione il lavoro specifico sulle dinamiche che abbiamo fatto.

Inoltre per quanto riguarda Orange, non posso non citare una registrazione dal vivo con cui son cresciuto da ragazzo e che ricordo sempre con grandissima emozione : ed è la Salomé di Richard Strauss diretta da Rudolph Kempe, li ad Orange ed è le assicuro una cosa assolutamente strepitosa e poi un’esplosione atomica del pubblico alla fine [1]. Quella giustamente è un’esecuzione ormai di riferimento, l’unica di Kempe dal vivo, che ho cercato ed ho trovato.

[1] Richard Strauss, Salomé, L. Rysanek, R. Hesse, J. Vickers, T. Stewart. Orchestre National de France, dir. Rudolf Kempe. Chorégies d’Orange, 14 juillet 1974. 2 CD Goden Age. 

R. D’E. : Maestro, lei vanta un repertorio estremamente ricco e variegato : dalla musica operistica alla sinfonica, che affronta anche i repertori del XX e XXI secolo. Tuttavia, lei ritorna regolarmente a Verdi, e non soltanto al Verdi della maturità, mi riferisco alle sue letture delle opere di quelli che il compositore definiva « gli anni di galera » : lei ha diretto com’è noto Giovanna d’Arco, I Masnadieri… Cosa rappresenta Verdi nel suo percorso artistico ? E perché è cosi importante ritornarvi in modo ricorrente, ripercorrendo anche la sua prima maniera?

© Gallica/BnF

R. C. :  Guardi effettivamente quella parola « galera » che Verdi disse e che Massimo Mila ha poi tanto ripreso, voleva esprimere la condizione che viveva Verdi stesso in quel periodo, che giunse fino a lavorare in uno stesso anno a tre opere parallelamente. qualcosa che per lui rappresento’ una vera e propria gogna oltre che una galera. Ma quella parola « galera » non ha alcuna autorevolezza se legata alla qualità musicale del primo Verdi. Questo punto è per me fondamentale. La ragione per cui ho voluto inaugurare a distanza di qualche anno i 7 dicembre della Scala con quello che io chiamo il « trittico della gioventù », è stato un segnale che ho voluto dare proprio per valorizzare la bellezza e l’importanza di questa musica. Giovanna d’Arco l’abbiamo eseguita nel 2015, per aprire la stagione, perché è un’opera nata alla Scala che non era mai più ritornata nel suo teatro.

Attila ha inaugurato per la prima volta la stagione della Scala nel 2018. Poi il trittico si è completato con Macbeth, per l’inaugurazione scorsa, che invece è tornata ad inaugurare la Scala per la quarta volta. Era molto importante, perché si parla sempre della grandezza della trilogia romantica e della trilogia della maturità, ma troppo poco della trilogia giovanile di Verdi. Ed è una rivelazione. Quello che succede nella scrittura, anche quella sinfonica, della partitura di Macbeth è una rivoluzione pre-novecentesca. Questo è un fatto che va sottolineato.

R. D’E. : I Cori e le Ouvertures, o sarebbe meglio dire i Preludi verdiani sono dei brani popolari, che hanno attirato ed attitano molte persone all’opera ed alla musica classica. Nel 1951 Dino Buzzati rendosi conto della cattiva percezione del primo Verdi tra gli intellettuali scriveva : « Verdi non è chic ». Lei cosa risponde a chi pensa ancora che si tratti di una musica « facile », non raffinata » ?

Dino Buzzati (1906-1972)

R. C. :  Dino Buzzati era un uomo di una cultura agghiacciante. Io lo conobbi perché veniva in casa nostra, avendo lavorato come librettista a più opere con mio padre. L’ho conosciuto e lo ricordo bambino. Secondo me l’ambiente a cui si riferiva Buzzati ha avuto la sfortuna di ascoltare cattive esecuzioni di Verdi. Dunque il giudizio sbagliato, che Buzzati non condivideva affatto, è derivato probabilmente da questo. Certo Verdi è un autore a rischio in questo senso, ma è a rischio come lo sono tutti, anche i tardo-romantici come Tchaikovsky o Rachmaninov, non parliamo poi di Giacomo Puccini.

Sono tutti autori a rischio interpretativo, perché se arriva il cattivo gusto e la mancanza di attenzione alla struttura del linguaggio, si rischia di debordare nel volgare, questo e quello che ha alterato il giudizio di certo ambiente culturale che Buzzati criticava. Buzzati lo sentiva perché fu anche lui un grande artista: uomo di teatro, pittore e scenografo.
Noi eseguiamo I Lombardi, Ernani, Nabucco, in questo programma, per cui per esempio il primo Verdi fino a Macbeth per noi ha un valore definitivo nell’identificazione stilistica e nel colore della nostra esecuzione. Quindi parliamo del valore di metà del nostro programma di concerto, che mette in risalto nello specifico il primo Verdi affrontando poi quello della maturità. A tal proposito, l’ordine dei brani del concerto è stato riorganizzato ed un po’ abbreviato rispetto al primo programma che era stato pubblicato: cominceremo la prima parte con tre pagine del Nabucco, due pagine di Lombardi, poi due pagine di Ernani e chiudiamo questa prima parte con tre pagine del Don Carlo. Poi apriamo la seconda parte con quattro pagine di Macbeth, poi due pagine di Trovatore, due pagine della Forza del Destino, e poi finiamo col grande finale dell’atto secondo di Aida. Poi se il pubblico avrà entusiasmo e chiederà un bis abbiamo anche un bis verdiano.

R. D’E. : Maestro, parliamo adesso della vastità sel suo repertorio. Lei accorda una grande importanza alla musica contemporanea, spesso anche alle prime esecuzioni di artisti viventi. È evidente che per Lei sia assenziale far vivere questa musica…
R. C. : Si certo. Il programma con cui quest’anno apriro’ il Festival di Lucerna il 12 agosto le dà la risposta. Il primo programma sarà una composizione di Wolfgang Rihm, per celebrare il suo settantesimo compleanno, con una composizione importante, Verwandlung n°4, poi eseguiremo il secondo concerto per violino di uno sconosciuto compositore, che ai suoi tempi chiamavano il « Mozart di colore », il cui nome è curioso ed un po’ complicato, perché si chiama Joseph Boulogne, Chevalier de Saint-Georges. È un compositore del ‘700 genialissimo, ed un personaggio incredibile. Lui era di colore ed ha vissuto una vita breve perche è morto giovane, era un grande virtuoso del violino e noi eseguiremo questo concerto con Anne-Sophie Mutter come solista. Per cui partiamo su due tipi di linguaggio opposti l’uno all’altro e poi nella seconda parte andiamo avanti con il progetto integrale della sinfonie di Rachmaninov con la seconda Sinfonia. Quindi è un programma a cui vogliamo dare quest’identità musicale universale al-di-là delle distanze cronologiche.

R. D’E. : Certamente, ma il pubblico è spesso ancora oggi esitante rispetto al repertorio contemporaneo. Cosa si puo’ fare secondo lei per avvicinare il pubblico a questa musica, per risvegliare la sua curiosità e farlo venire ai concerti?
R. C. : Ma in realtà ci sono oggi anche in Francia o in Italia e in vari altri paesi d’Europa come in Germania, tanti festival dedicati alla musica contemporanea ed hanno un pubblico d’eccellenza, molto competente ed anche molto frequente. Detto questo, quel che possiamo fare è inserire regolarmente musica contemporanea nei programmi classici. Ed in tal senso noi operiamo, come già detto, a Lucerna. È fondamentale incoraggiare senza spaventare il pubblico ad associare in una stessa sera Rihm e Rachmanonov, vede cosa voglio dire ? Bisogna avere quest’apertura mentale, perche vede quel che a volte spaventa non è tanto il linguaggio, che a volte sicuramente è complesso, ma è la non conoscenza, la non confidenza con la nuova musica. Ora uno crea questa conoscenza e questa confidenza solamente ascoltando la nuova musica. Bisogna accettare un’applicazione di partenza, poi è la musica da sola a creare un percorso nello spettatore.

R. D’E. : C’è un repertorio che dirige meno e a cui vorrebbe dedicarsi maggiormente ?

R. C. : Guardi io dirigo poco il repertorio del periodo barocco, che tuttavia amo ed ho studiato tantissimo. Detto questo, è poi successo che a Lucerna, l’estate scorsa ho dovuto cambiare tutto il repertorio, riducendo l’orchestra del 50% e dunque andando su programmi che prevedevano Haydn, Mozart e Schubert autori che avevamo eseguito meno rispetto ai tardo-romantici. Pero’ questo ritorno forzato allo studio ed anche all’esecuzione del passato ha dato nuova linfa sia a me che all’orchestra ed è stata un’esperienza magnifica.

© Brescia Amisano

A parte Bach, sul quale ho fatto un lavoro intensissimo di quasi vent’anni con le Passioni e con il Weihnachts Oratorio, con i Concerti Brandeburghesi, con le suites, tutto un percorso direi quasi fanatico che ho portato avanti per vent’anni con la musica di Bach. Pero’ rispetto a tutti gli altri autori Bach rappresenta per me una corsia privilegiata. Quando poi torno ad altri autori come Haydn, Mozart o anche Schubert è una nuova scoperta positiva.

R. D’E. : Bach è un po’ come una calamita, bisogna sempre ritornare a Johannes Sebastien per poi continuare a fare meglio cio che si fa ?
R. C. : Ma sa ho avuto un professore nel periodo del liceo che diceva che in fondo, se vogliamo esse drastici, possiamo tagliare la storia della musica in due : la prima parte Bach-Beethoven, la seconda Wagner-Verdi. Ma devo dire era molto radicale questo professore che voleva impartire la conoscenza della musica classica alle classi di liceo, che non avevano nel loro percorso elementi di musica classica. È molto radicale perché lasciava fuori più di tre quarti del percorso, pero’ in fondo, il suo progetto era efficace… (ride)

R. D’E. : Lei ha diretto le orchestre più prestigiose del mondo, penso in particolare agli anni in cui ha guidato l’orchestra del Concertgebouw di Amsterdam o ancora il Gewandhaus di Lipsia. Cosa ha significato per Lei venire a guidare l’orchestra della Scala, e quale puo’ esse l’apporto di una tale formazione, cosa la contraddistingue rispetto alle altre orchestre ?
R. C. : Ma stiamo parlando di orchestre che hanno un rapporto costante ed imprescindibile col passato. Parliamo di orchestre di tradizione plurisecolare. È chiaro che per me la sfida è confrontarmi con quelle che sono le linee rosse che definiscono l’identità di queste orchestre. Parlando del Concertgebouw ovviamente la prima linea è Gustav Mahler, Bruckner in particolare, ma Mahler in primis. Poi segue Richard Strauss, fino a Webern e la nuova musica, perche il Concertgebouw è stata sempre apertissima alla musica contemporanea. Invece andare al Gewandhaus di Lipsia, la più antica orchestra del mondo, voleva dire partire da Bach proprio e andare su Beethoven con l’orchestra che ha eseguito il primo ciclo integrale delle sinfonie di Beethoven, ancora prima di Vienna. Inoltre tra i miei predecessori c’era Felix Mendelssohn Bartholdy che vi ha eseguito ogni anno sinfonie di Beethoven. Quindi è stato tutto un percorso su Mendelssohn, Schumann, Brahms, legato proprio a quelle che erano le figure importanti della tradizione secolare dell’orchestra di Lipsia. È chiaro che alla Scala abbiamo affrontato il discorso su Verdi, Puccini, ma anche su Donizetti o Rossini, tutti nomi che risultano imprescindibili dall’identità storica del teatro. Quindi è continuamente una sfida ripercorrere questi autori che hanno segnato la storia di queste orchestre per da un lato studiare con loro quello che è il percorso più forte d’identità, dall’altro anche cercare di trovare una propria strada per tentare di rinnovare il pensiero interpretativo. Sarebbe forse più facile ignorare da parte mia tutto questo, ma allora non avrebbe più senso essere il Direttore musicale dell’orchestra.

R. D’E. : Il famoso direttore Eugene Ormandy asseriva di poter ricreare il suono della Philadelphia orchestra, con qualunque altra orchestra. Un’affermazione molto contestata già all’epoca. Per lei ogni orchestra ha dunque un proprio suono oppure è il direttore d’orchestra che plasma questo suono ?
R. C. : Ogni grande orchestra ha il proprio suono. Attenzione, il mondo non è fatto solo di grandi orchestre. Le orchestre che storicamente hanno un passato cosi glorioso e si identificano col suono, lo ottengono e lo mantengono attraverso un lavoro quotidiano che si fa tra i musicisti e il direttore d’orchestra. Il direttore musicale in questo caso, perché lui è portatore con i musicisti di questo percorso di sviluppo di questo tipo di suono. Ma secondo me il suono è indissociabile dall’orchestra, appartiene ai musicisti, sono loro che lo creano e quindi è un’identità abbastanza irripetibile. Spero che sentirà dal suono dell’orchestra e del coro della Scala a Orange quello che intendo dicendo questo.

document.addEventListener('DOMContentLoaded', function() {(tarteaucitron.job = tarteaucitron.job || []).push('youtube');});

Extraits du DVD Music. A journey for life

R. D’E. : Lei è stato com è noto assistente di Claudio Abbado. Qual’è stato per lei l’insegnamento di questo grande direttore, di una tale leggenda ?
R. C. : Vede effettivament io l’ho vissuto quando già la leggenda c’era, ma io non me ne rendevo conto, nel senso che vivevo quotidianamente nel suo camerino. Ero un po’ la sua ossessione, perché ogni giorno ero da lui a chiedergli cose no ? Ma lui rispondeva sempre pazientemente, devo dire, non ha mai dato segni di intemperanza : mi rispondeva, mi dava tempo. Mi ha insegnato tante cose soprattutto quando preparavo l’orchestra per lui. È stato un rapporto speciale, profondo, ma molto spontaneo, direi che si svolgeva nella quotidiana spontaneità. Tutto quello che diviene leggenda poi è qualcosa che succede al di sopra di noi e aldilà delle persone. Per tornare ai suoi tanti insegnamenti : per prima cosa la serietà assoluta e comportamentale quotidiana nel far musica ; poi la profondità dell’interpretazione ; la terza cosa l’estrema bravura tecnica nella direzione d’orchestra e la chiarezza del gesto ; la quarta cosa il controllo assoluto del sistema nervoso, perché solo cosi uno puo’ affrontare anche importanti momenti di esposizione emotiva, cercando tutte le possibilità di controllo. Cio’ non toglie che durante le prove io abbia delle intemperanze. Io parlo soprattutto del momneto dell’esecuzione, li’ ci vuole veramente il controllo, perché si è responsabili anche della trasmissione emotiva a tutti i duecento esecutori, come nel caso del programma verdiano a Orange.

R. D’E. : Parliamo del suo rapporto coi giovani. Trova il tempo per dedicarsi alla formazione di giovani direttori ? È qualcosa che le interessa o che potrebbe interessarla in futuro ?
R. C. : Guardi è una cosa che mi hanno proposto molte volte, anche grandi istituzioni. Il problema è il tempo, il tempo che non ho purtroppo. Ho fatto una sola volta una Masterclass su Tosca con la classe di direzionei d’orchestra al Conservatorio di Milano. Devo ammettere che in un primo momento non sapevo neanche come avrei gestito la cosa. Poi quando ero li’ mi sono appassionato molto, perché mi è piaciuto dare dei consigli ai giovani. Pero’ è stata una cosa sporadica. Non è qualcosa che al momento posso intraprendere sistematicamente.

document.addEventListener('DOMContentLoaded', function() {(tarteaucitron.job = tarteaucitron.job || []).push('youtube');});

Le Te Deum de Tosca à la Scala en 2019 (Luca Salsi)

R. D’E. : Lei ha studiato anche col Maestro Franco Ferrara ed io da palermitano sono molto legato a questa grande figura della scuola direttoriale italiana.
R. C. : Beh, parliamo di una grande intelligenza musicale. L’importanza del Franco Ferrara direttore d’orchestra e dell’interprete l’ho davanti ai miei occhi, perché fortunatamente negli anni Settanta quando studiavo con lui, veniva spesso sul palco a dirigere umiliandoci tutti noi poveri allievi davanti alla grandezza di un maestro di quella portata. Ho avuto la fortuna di vederlo dirigere spesso durante le nostre lezioni.

R. D’E. : Siamo purtroppo giunti alla fine della nostra intervista. Avremo il piacere di riaverla e di riascoltarla prossimamente in Francia ?
R. C. : Spero di si, io sono ogni anno alla Philharmonie di Parigi con la Filarmonica della Scala ma anche con l’Orchestre de Paris con cui tornero’ nel settembre prossimo. Per cui con piacere quando posso è un paese che visito molto volentieri.

R. D’E. : E noi avremo sicuramente il piacere di poterla rivedere e di riascoltarla sempre con grande entusiasmo. La ringrazio ancora per il tempo che ci ha dedicato. È stata una bellissima conversazione.

  • Consulta il nostro dossier sui cori verdiani qui.
  • Per il programma della Notte italiana e per prenotare i biglietti, cliccate qui!

Per leggere la versione francese di questa intervista, cliccare sulla bandiera!


Riccardo CHailly e Verdi : la nostra selezione di CD e DVD

CD

Verdi, 7 Overtures
National Philharmonic Orchestra
1 CD Decca (1983)

Verdi, Macbeth
Leo Nucci, Shirley Verrett, Veriano Luchetti, Samuel Ramey. Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna. Decca (1987)

Verdi, Rigoletto
Leo Nucci, June Anderson, Luciano Pavarotti. Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna. Decca (1989)

Viva Verdi ! 
Filarmonica Della Scala. Decca (2012)

DVD e Blu-ray

Leo Nucci, Shirley Verrett, Veriano Luchetti, Samuel Ramey. Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna. Regia di Claude d’Anna. 2 DVD DG (2007)

Urmana, Alagna, Komlosi. Regia di Franco Zefirrelli.  Decca (2007)

Pisapia, Taigi, Vassallo. Gewandhausorchester, Chor der Oper Leipzig. Regia di Ermanno Olmi. EuroArts (2005)

Netrebko, Meli, Alvarez. Coro e Orchestra del Teatro alla Scala. Regia di Leiser et Caurier. Decca (2012)

E anche…

Music. A journey for life

Documentario di Paul Smaczny. 1 DVD Accentus Music, 2013.